MOSAICI E MONUMENTI UNESCO

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MOSAICI E MONUMENTI UNESCO

Il mosaico

Cos’è il mosaico? Il mosaico è una tecnica decorativa con cui si riproduce un disegno attraverso l’utilizzo di frammenti di pietre, terracotta o paste vitree, bianche, nere o colorate, applicati con un legante su una superfici Il termine deriva dal latino musaicum opus: “opera sacra alle Muse”, le protettrici delle arti. La tecnica del mosaico è stata impiegata in forme assai disparate, fin da epoche antichissime, in diverse aree geografiche anche di estrazione culturale differenti fra loro. Fu per lo più destinato alla decorazione di pareti e pavimenti e, per le sue caratteristiche di durevolezza e inalterabilità, fu legata nella maggior parte dei casi all’architettura di natura sacra, monumentale o privata.
La Domus dei Tappeti di Pietra è uno dei più importanti siti archeologici italiani scoperti negli ultimi decenni. Inaugurata dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nell’ottobre del 2002, è stata insignita del Premio Bell’Italia 2004 e del Premio Francovich 2017. Della complessa situazione stratigrafica della Domus è stata messa in luce e valorizzata la parte relativa alle splendide pavimentazioni di un palazzetto bizantino del V-VI sec. d.C., unico caso a Ravenna di edificio a destinazione privata dell’epoca. Per ammirare i Tappeti di Pietra bisogna attraversare la piccola chiesa settecentesca di Santa Eufemia, che costituisce l’ingresso della Domus e scendere in una moderna sala sotterranea, situata tre m sotto il livello stradale, che conserva oltre 400 mq di mosaici policromi e marmi. Al suo interno si possono ammirare le vaste e splendide pavimentazioni decorate con elementi musivi geometrici, floreali e figurativi ritenuti unici come nel caso della Danza dei Geni delle Stagioni, rarissima rappresentazione che mostra i geni danzare in cerchio al suono di una siringa, o come per la figura del Buon Pastore, in una versione differente dall’usuale rappresentazione cristiana.
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CHIESA DI SANTA EUFEMIA
Via Gian Battista Barbiani
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La Domus dei Tappeti di Pietra è uno dei più importanti siti archeologici italiani scoperti negli ultimi decenni. Inaugurata dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nell’ottobre del 2002, è stata insignita del Premio Bell’Italia 2004 e del Premio Francovich 2017. Della complessa situazione stratigrafica della Domus è stata messa in luce e valorizzata la parte relativa alle splendide pavimentazioni di un palazzetto bizantino del V-VI sec. d.C., unico caso a Ravenna di edificio a destinazione privata dell’epoca. Per ammirare i Tappeti di Pietra bisogna attraversare la piccola chiesa settecentesca di Santa Eufemia, che costituisce l’ingresso della Domus e scendere in una moderna sala sotterranea, situata tre m sotto il livello stradale, che conserva oltre 400 mq di mosaici policromi e marmi. Al suo interno si possono ammirare le vaste e splendide pavimentazioni decorate con elementi musivi geometrici, floreali e figurativi ritenuti unici come nel caso della Danza dei Geni delle Stagioni, rarissima rappresentazione che mostra i geni danzare in cerchio al suono di una siringa, o come per la figura del Buon Pastore, in una versione differente dall’usuale rappresentazione cristiana.
Al centro della Zona del Silenzio, subito alle spalle della Tomba di Dante, sorge forse una delle più belle basiliche di Ravenna. Dalle forme spiccatamente romaniche, la Basilica di San Francesco fu durante il periodo medievale la chiesa prediletta della famiglia dei Polentani, signori della città e ospiti di Dante Alighieri. Probabilmente la stessa fu la più frequentata in città dal Sommo Poeta, tanto che proprio qui furono celebrati il 13/9/1321 i suoi solenni funerali, accogliendo temporaneamente le sue spoglie all’interno di un bellissimo sarcofago del IV sec. d.C., situato nella cappella della famiglia dei Da Polenta disposta lungo la navata di sinistra. Storia di una basilica La Basilica di San Francesco, dedicata in origine ai SS. Apostoli e poi a San Pietro, risale alla metà del V sec. d.C. Ben poco rimane della prima chiesa paleocristiana, soprattutto a causa dei continui rifacimenti che interessarono l’edificio nel corso dei secoli. In particolare tra il 1261 e il 1810 e poi di nuovo tra il 1949 fino a oggi, i monaci Francescani la scelsero come loro sede con l’attuale intitolazione a San Francesco. Il restauro del 1921, in concomitanza con il VI Centenario della morte di Dante, infine apportò tutta una serie di modiche che andarono a smantellare le sovrastrutture barocche presenti, riportando la basilica alla severa linearità caratteristica del Trecento, più adeguata al sentire dell’ordine Francescano. Gli interni della chiesa Una classica forma basilicale a tre navate, separate da due file di 12 colonne ciascuna, caratterizza l’architettura di San Francesco. A lato, all’esterno, un robusto campanile quadrato risalente al IX sec. ne arricchisce la facciata, donandole un fascino ulteriore. Di particolare bellezza è l’abside semicircolare all’interno ed eptagonale all’esterno, che per il fenomeno della subsidenza appare oggi ribassata di 3 m e mezzo rispetto al pavimento più recente. Attraverso una finestra posta sotto l’altare maggiore, costituito da un sarcofago del V sec., si scorge la cripta del X sec., un ambiente a forma di oratorio sorretto da pilastrini destinato ad ospitare le reliquie del vescovo Neone, fondatore della chiesa. Il pavimento della cripta è costantemente sommerso dall’acqua, che tuttavia permette di ammirare i frammenti musivi del pavimento della chiesa originaria. Lungo la navata destra, la basilica ospita anche tre belle cappelle risalenti alla metà del XVI sec.: la prima ad opera dello scultore Tullio Lombardo ospitava un tempo la statua di Guidarello Guidarelli, oggi esposta al MAR – Museo d’Arte di Ravenna; la seconda è una cappella centrale dedicata a Sant’Antonio, infine la terza è dedicata a San Rocco, con una cupola affrescata da Andrea Barbiani (1755) e una tela di Gaspare Sacchi (1517-1536).
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Basilica di San Francesco
3 Piazza S. Francesco
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Al centro della Zona del Silenzio, subito alle spalle della Tomba di Dante, sorge forse una delle più belle basiliche di Ravenna. Dalle forme spiccatamente romaniche, la Basilica di San Francesco fu durante il periodo medievale la chiesa prediletta della famiglia dei Polentani, signori della città e ospiti di Dante Alighieri. Probabilmente la stessa fu la più frequentata in città dal Sommo Poeta, tanto che proprio qui furono celebrati il 13/9/1321 i suoi solenni funerali, accogliendo temporaneamente le sue spoglie all’interno di un bellissimo sarcofago del IV sec. d.C., situato nella cappella della famiglia dei Da Polenta disposta lungo la navata di sinistra. Storia di una basilica La Basilica di San Francesco, dedicata in origine ai SS. Apostoli e poi a San Pietro, risale alla metà del V sec. d.C. Ben poco rimane della prima chiesa paleocristiana, soprattutto a causa dei continui rifacimenti che interessarono l’edificio nel corso dei secoli. In particolare tra il 1261 e il 1810 e poi di nuovo tra il 1949 fino a oggi, i monaci Francescani la scelsero come loro sede con l’attuale intitolazione a San Francesco. Il restauro del 1921, in concomitanza con il VI Centenario della morte di Dante, infine apportò tutta una serie di modiche che andarono a smantellare le sovrastrutture barocche presenti, riportando la basilica alla severa linearità caratteristica del Trecento, più adeguata al sentire dell’ordine Francescano. Gli interni della chiesa Una classica forma basilicale a tre navate, separate da due file di 12 colonne ciascuna, caratterizza l’architettura di San Francesco. A lato, all’esterno, un robusto campanile quadrato risalente al IX sec. ne arricchisce la facciata, donandole un fascino ulteriore. Di particolare bellezza è l’abside semicircolare all’interno ed eptagonale all’esterno, che per il fenomeno della subsidenza appare oggi ribassata di 3 m e mezzo rispetto al pavimento più recente. Attraverso una finestra posta sotto l’altare maggiore, costituito da un sarcofago del V sec., si scorge la cripta del X sec., un ambiente a forma di oratorio sorretto da pilastrini destinato ad ospitare le reliquie del vescovo Neone, fondatore della chiesa. Il pavimento della cripta è costantemente sommerso dall’acqua, che tuttavia permette di ammirare i frammenti musivi del pavimento della chiesa originaria. Lungo la navata destra, la basilica ospita anche tre belle cappelle risalenti alla metà del XVI sec.: la prima ad opera dello scultore Tullio Lombardo ospitava un tempo la statua di Guidarello Guidarelli, oggi esposta al MAR – Museo d’Arte di Ravenna; la seconda è una cappella centrale dedicata a Sant’Antonio, infine la terza è dedicata a San Rocco, con una cupola affrescata da Andrea Barbiani (1755) e una tela di Gaspare Sacchi (1517-1536).

Unesco

Riconosciuta in tutto il mondo per le sue bellezze artistiche, Ravenna conserva il più ricco patrimonio di mosaici databili tra il V e il VI secolo d.C. custodito all’interno dei suoi edifici religiosi paleocristiani e bizantini, dichiarati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Otto i monumenti UNESCO che testimoniano la grandezza di Ravenna nel corso della storia. Otto i tesori indescrivibili che raccontano le vicende di un territorio e di una città eletta per ben tre volte capitale: dell’Impero Romano d’Occidente prima, di Teodorico re dei Goti poi (493-553) e in ultimo dell’impero di Bisanzio in Europa, fino alla conquista longobarda della città nel 751 d.C. Otto gli edifici di culto che riflettono le più importanti vicende politiche e religiose della fine del Mondo Antico e che raccontano quella fitta rete di personalità artistiche, scambi e relazioni culturali che hanno posto le basi dell’Europa contemporanea.
Chiunque abbia voglia di vedere da vicino la vera essenza del mosaico a Ravenna non può esimersi da visitare la Basilica di San Vitale, uno dei monumenti più importanti dell’arte paleocristiana in Italia e nel Mondo. Siamo nel cuore della città, a due passi da alcuni dei monumenti più suggestivi del centro storico. Nei pressi si ritrovano infatti importanti realtà come il Mausoleo di Galla Placidia, la Domus dei Tappeti di Pietra, il Museo Nazionale, e molti altri. Concepita per rendere testimonianza della grandezza imperiale bizantina, e del regno giustinianeo in particolare, l’edificio spicca per la raffinatezza e la preziosità delle sue decorazioni e dei materiali impiegati, ma anche per l’originalità delle soluzioni spaziali adottate che trovano validi confronti con la Chiesa dei Santi Sergio e Bacco a Costantinopoli. Alle origini della basilica Commissionata sotto il dominio dei Goti al tempo dell’arcivescovo Ecclesio (525-526 d.C.), grazie alla considerevole somma di 26 mila soldi d’oro messa a disposizione dal banchiere Giuliano Argentario, la basilica fu terminata quasi vent’anni dopo durante il regno dell’imperatore Giustiniano. Venne consacrata dal vescovo Massimiano nel 547 d.C. e dedicata a San Vitale, un martire dei primi secoli del Cristianesimo. Leggenda vuole che il luogo della costruzione non fosse stato scelto a caso. Sembra che qui si trovasse un sacello (V sec.) in cui erano state custodite le spoglie di Vitale. Inoltre l’area era una zona privilegiata, immediatamente fuori dal circuito murario di età romana, ricca di domus signorili, ma anche suggestivi complessi come quello della Basilica di Santa Croce e l’annesso Mausoleo di Galla Placidia. Architettura La basilica presenta un impianto planimetrico centrale e soluzioni strutturali che la distinguono nettamente dalle tipiche chiese d’impianto basilicale. L’edificio svetta su due corpi prismatici in mattoni, uno più alto e uno più basso, a pianta ottagonale. Intorno al tamburo della cupola centrale, corre un deambulatorio (corridoio) a due piani con un settore sovrastante riservato alle donne (matroneo). Orientata verso est, l’abside poligonale è affiancata da due sacrestie rettangolari mentre sul fronte opposto, il portico (nartece) d’ingresso, posto curiosamente di sbieco all’abside, mostra due esedre all’estremità che permettono di accedere alle due torri e ai settori superiori. La decorazione interna Appena entrati all’interno della basilica, lo sguardo viene subito catturato dalle stupende decorazioni musive dell’abside e dagli ampi volumi che l’edificio sprigiona, nonché dall’imponente volta centrale affrescata nel XVII sec.. Risulta difficile abbracciare lo spazio con lo sguardo. La luce filtra dalle finestre creando con le decorazioni in mosaico e le superfici in marmo e pietra strani e suggestivi effetti. I capitelli a cesto riccamente decorati abbelliscono con le loro lavorazioni le sommità delle colonne. L’interno, al di sopra dei pregiati marmi, è motivo d’estasi e sorpresa: si può ammirare, infatti, uno splendido esempio di mosaico parietale con uno sviluppo in verticale che conferisce alla basilica l’aura imperiale e rappresentativa del potere politico e religioso dell’epoca. Se nel presbiterio i personaggi tratti da episodi dell’Antico e Nuovo Testamento ci appaiono plastici e in un contesto terreno, le figure rappresentate nell’abside (gli imperatori Teodora e Giustiniano, l’arcivescovo Massimiano) si stagliano invece ieratiche su un fondo aureo, quasi astratto, profondendo al fedele l’energia trascendente e metafisica della Chiesa, ma anche la forza dogmatica e politica della concezione religiosa di Giustiniano. Da non perdere, a terra nell’area del presbiterio di fronte all’altare, la rappresentazione di un labirinto a forma circolare, interamente realizzato a marmo. Trovarne la via d’uscita è già un atto di rinascita.
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Basilikaen San Vitale
17 Via San Vitale
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Chiunque abbia voglia di vedere da vicino la vera essenza del mosaico a Ravenna non può esimersi da visitare la Basilica di San Vitale, uno dei monumenti più importanti dell’arte paleocristiana in Italia e nel Mondo. Siamo nel cuore della città, a due passi da alcuni dei monumenti più suggestivi del centro storico. Nei pressi si ritrovano infatti importanti realtà come il Mausoleo di Galla Placidia, la Domus dei Tappeti di Pietra, il Museo Nazionale, e molti altri. Concepita per rendere testimonianza della grandezza imperiale bizantina, e del regno giustinianeo in particolare, l’edificio spicca per la raffinatezza e la preziosità delle sue decorazioni e dei materiali impiegati, ma anche per l’originalità delle soluzioni spaziali adottate che trovano validi confronti con la Chiesa dei Santi Sergio e Bacco a Costantinopoli. Alle origini della basilica Commissionata sotto il dominio dei Goti al tempo dell’arcivescovo Ecclesio (525-526 d.C.), grazie alla considerevole somma di 26 mila soldi d’oro messa a disposizione dal banchiere Giuliano Argentario, la basilica fu terminata quasi vent’anni dopo durante il regno dell’imperatore Giustiniano. Venne consacrata dal vescovo Massimiano nel 547 d.C. e dedicata a San Vitale, un martire dei primi secoli del Cristianesimo. Leggenda vuole che il luogo della costruzione non fosse stato scelto a caso. Sembra che qui si trovasse un sacello (V sec.) in cui erano state custodite le spoglie di Vitale. Inoltre l’area era una zona privilegiata, immediatamente fuori dal circuito murario di età romana, ricca di domus signorili, ma anche suggestivi complessi come quello della Basilica di Santa Croce e l’annesso Mausoleo di Galla Placidia. Architettura La basilica presenta un impianto planimetrico centrale e soluzioni strutturali che la distinguono nettamente dalle tipiche chiese d’impianto basilicale. L’edificio svetta su due corpi prismatici in mattoni, uno più alto e uno più basso, a pianta ottagonale. Intorno al tamburo della cupola centrale, corre un deambulatorio (corridoio) a due piani con un settore sovrastante riservato alle donne (matroneo). Orientata verso est, l’abside poligonale è affiancata da due sacrestie rettangolari mentre sul fronte opposto, il portico (nartece) d’ingresso, posto curiosamente di sbieco all’abside, mostra due esedre all’estremità che permettono di accedere alle due torri e ai settori superiori. La decorazione interna Appena entrati all’interno della basilica, lo sguardo viene subito catturato dalle stupende decorazioni musive dell’abside e dagli ampi volumi che l’edificio sprigiona, nonché dall’imponente volta centrale affrescata nel XVII sec.. Risulta difficile abbracciare lo spazio con lo sguardo. La luce filtra dalle finestre creando con le decorazioni in mosaico e le superfici in marmo e pietra strani e suggestivi effetti. I capitelli a cesto riccamente decorati abbelliscono con le loro lavorazioni le sommità delle colonne. L’interno, al di sopra dei pregiati marmi, è motivo d’estasi e sorpresa: si può ammirare, infatti, uno splendido esempio di mosaico parietale con uno sviluppo in verticale che conferisce alla basilica l’aura imperiale e rappresentativa del potere politico e religioso dell’epoca. Se nel presbiterio i personaggi tratti da episodi dell’Antico e Nuovo Testamento ci appaiono plastici e in un contesto terreno, le figure rappresentate nell’abside (gli imperatori Teodora e Giustiniano, l’arcivescovo Massimiano) si stagliano invece ieratiche su un fondo aureo, quasi astratto, profondendo al fedele l’energia trascendente e metafisica della Chiesa, ma anche la forza dogmatica e politica della concezione religiosa di Giustiniano. Da non perdere, a terra nell’area del presbiterio di fronte all’altare, la rappresentazione di un labirinto a forma circolare, interamente realizzato a marmo. Trovarne la via d’uscita è già un atto di rinascita.
Considerato da molti come uno dei tesori più preziosi della città, il Mausoleo di Galla Placidia è uno degli edifici più antichi di Ravenna, patrimonio Unesco dal 1996. Semplice e modesto nelle forme, colpisce subito la vista per via della sua particolare struttura in mattoni posta all’ombra dei rami di un grande platano secolare immediatamente alle spalle della Basilica di San Vitale. Storia e architettura Commissionato nella prima metà del V sec. d.C. (dopo il 426 d.C.) dall’imperatrice Galla Placidia, figlia di Teodosio e sorella dell’imperatore Onorio, nonché imperatrice reggente per conto del figlio Valentiniano III, questo piccolo mausoleo doveva servire come sua “ultima dimora” in cui essere seppellita assieme al fratello e al marito, Costanzo III, sposato in seconde nozze. Non fu però mai utilizzato in tal senso: nel 450 d.C. la donna morì difatti a Roma e qui seppellita. Visto dall’esterno l’edificio appare molto sobrio: una pianta a croce latina di piccole dimensioni con una cupola nascosta da un tiburio a torretta quadrata all’incrocio di quattro bracci. In origine doveva essere collegato alla retrostante Chiesa di Santa Croce tramite un nartece (portico), andato poi distrutto. Doveva essere poi molto più alto di quanto oggi lo percepiamo. A causa del fenomeno della subsidenza (il progressivo sprofondamento del suolo che caratterizza gran parte del territorio di Ravenna), il mausoleo infatti oggi appare interrato di circa 1, 5mt. Il cielo stellato di Galla Placidia Entrando all’interno si è subito rapiti dall’atmosfera magica che le decorazioni in mosaico riescono a trasmettere, enfatizzate dalla luce dorata che filtra attraverso le finestre di alabastro. La parte inferiore è rivestita da marmi gialli; mentre la zona superiore è interamente ricoperta da mosaici che ricoprono pareti, archi, lunette e cupola. La rude architettura si dissolve in una nuvola di colore grazie alle piccole tessere in mosaico che ricoprono ogni suo centimetro, smussando spigoli e deformando i contorni. A cavallo tra la tradizione artistica ellenistico-romana e quella cristiana, i temi iconografici rappresentati sviluppano, a più livelli interpretativi, il tema della vittoria della vita eterna sulla morte. Al centro della cupola, in un immenso cielo stellato, appare in tutto il suo splendore una croce latina dorata, simbolo di Cristo Sole Nascente. Attorno ad acclamarlo i quattro Esseri dell’Apocalisse. Nelle lunette, invece, gli apostoli contornati da colombe e zampilli d’acqua, a simboleggiare la Grazia che attinge alla Fonte Divina. Seguendo la stessa metafora, nelle lunette a Est e Ovest, i cervi si abbeverano all’acqua sacra del battesimo circondati da un paradisiaco giardino mentre, nella lunetta di fronte all’ingresso, accanto a una graticola in fiamme, appare San Lorenzo Martire. Sopra l’ingresso, il mosaico più pregiato: il Cristo Buon Pastore tra le sue pecore. Mirabili, dovunque, le decorazioni floreali e geometriche che trasformano la penombra del monumento in un inno alla luce e la sua visita in una preghiera alla Vita Eterna. Infine, i tre sarcofagi in marmo vuoti: uno, piuttosto semplice, di epoca romana (quello del braccio centrale) e due di età paleocristiana (IV e V sec.), decorati lateralmente con la figura dell’agnello, uno dei simboli più antichi di Cristo.
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Galla Placidias Mausoleum
17 Via San Vitale
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Considerato da molti come uno dei tesori più preziosi della città, il Mausoleo di Galla Placidia è uno degli edifici più antichi di Ravenna, patrimonio Unesco dal 1996. Semplice e modesto nelle forme, colpisce subito la vista per via della sua particolare struttura in mattoni posta all’ombra dei rami di un grande platano secolare immediatamente alle spalle della Basilica di San Vitale. Storia e architettura Commissionato nella prima metà del V sec. d.C. (dopo il 426 d.C.) dall’imperatrice Galla Placidia, figlia di Teodosio e sorella dell’imperatore Onorio, nonché imperatrice reggente per conto del figlio Valentiniano III, questo piccolo mausoleo doveva servire come sua “ultima dimora” in cui essere seppellita assieme al fratello e al marito, Costanzo III, sposato in seconde nozze. Non fu però mai utilizzato in tal senso: nel 450 d.C. la donna morì difatti a Roma e qui seppellita. Visto dall’esterno l’edificio appare molto sobrio: una pianta a croce latina di piccole dimensioni con una cupola nascosta da un tiburio a torretta quadrata all’incrocio di quattro bracci. In origine doveva essere collegato alla retrostante Chiesa di Santa Croce tramite un nartece (portico), andato poi distrutto. Doveva essere poi molto più alto di quanto oggi lo percepiamo. A causa del fenomeno della subsidenza (il progressivo sprofondamento del suolo che caratterizza gran parte del territorio di Ravenna), il mausoleo infatti oggi appare interrato di circa 1, 5mt. Il cielo stellato di Galla Placidia Entrando all’interno si è subito rapiti dall’atmosfera magica che le decorazioni in mosaico riescono a trasmettere, enfatizzate dalla luce dorata che filtra attraverso le finestre di alabastro. La parte inferiore è rivestita da marmi gialli; mentre la zona superiore è interamente ricoperta da mosaici che ricoprono pareti, archi, lunette e cupola. La rude architettura si dissolve in una nuvola di colore grazie alle piccole tessere in mosaico che ricoprono ogni suo centimetro, smussando spigoli e deformando i contorni. A cavallo tra la tradizione artistica ellenistico-romana e quella cristiana, i temi iconografici rappresentati sviluppano, a più livelli interpretativi, il tema della vittoria della vita eterna sulla morte. Al centro della cupola, in un immenso cielo stellato, appare in tutto il suo splendore una croce latina dorata, simbolo di Cristo Sole Nascente. Attorno ad acclamarlo i quattro Esseri dell’Apocalisse. Nelle lunette, invece, gli apostoli contornati da colombe e zampilli d’acqua, a simboleggiare la Grazia che attinge alla Fonte Divina. Seguendo la stessa metafora, nelle lunette a Est e Ovest, i cervi si abbeverano all’acqua sacra del battesimo circondati da un paradisiaco giardino mentre, nella lunetta di fronte all’ingresso, accanto a una graticola in fiamme, appare San Lorenzo Martire. Sopra l’ingresso, il mosaico più pregiato: il Cristo Buon Pastore tra le sue pecore. Mirabili, dovunque, le decorazioni floreali e geometriche che trasformano la penombra del monumento in un inno alla luce e la sua visita in una preghiera alla Vita Eterna. Infine, i tre sarcofagi in marmo vuoti: uno, piuttosto semplice, di epoca romana (quello del braccio centrale) e due di età paleocristiana (IV e V sec.), decorati lateralmente con la figura dell’agnello, uno dei simboli più antichi di Cristo.
Lasciato il centro storico e oltrepassata la linea ferroviaria, si erge in un grande parco uno dei monumenti più iconici di tutta Ravenna. È il Mausoleo di Teodorico, la più celebre e importante costruzione funeraria realizzata dagli Ostrogoti in Italia, inserita dall’Unesco nella lista dei siti italiani Patrimonio dell’Umanità. Sintesi di un’architettura Fatto costruire per volontà di Teodorico come propria sepoltura attorno al 520 d.C., il monumento mescola sapientemente ad alcune influenze orientali la tradizione costruttiva romana, soprattutto di alcuni mausolei, dando vita un monumento crocevia tra l’antico popolo romano e quello dei goti “invasori”. Interamente realizzato in blocchi di pietra d’Aurisina messi in posa a secco, l’edificio si sviluppa su pianta centrale, articolandosi in due ordini sovrapposti, entrambi decagonali. A ricoprire tutto una grande cupola monolitica dalle misure sorprendenti, senza eguali nel patrimonio architettonico antico e moderno (10,76 m di diametro e 3,09 m di altezza), coronata da dodici anse con le iscrizioni dei nomi di otto Apostoli e quattro Evangelisti. Secondo calcoli più recenti, il peso raggiungerebbe le 290 tonnellate e, ancora oggi, le ipotesi degli studiosi circa il trasporto del monolite e la tecnica usata per la sua posa sono molteplici. Si presume però che le anse fossero funzionali alle operazioni di trasporto, sollevamento e posizionamento del monolite che comunque non dovette risultare facile come testimonierebbe la grande fenditura presente sulla cupola. Secondo una leggenda popolare, la cupola sarebbe stata invece squarciata dalla folgore divina che, abbattendosi su Teodorico seduto all’interno, lo avrebbe ucciso come punizione per i suoi delitti. Gli spazi interni del mausoleo Il piano inferiore si articola in una serie di nicchie su nove lati, mentre nel decimo si trova la porta d’ingresso. È probabile che la cella inferiore, a pianta a croce greca e copertura voltata a crociera, fosse destinata a luogo di culto o a tomba per i membri della famiglia di Teodorico. L’aula superiore è, invece, a pianta centrale con al centro una vasca in porfido nella quale, secondo la tradizione, venne posta la salma di Teodorico. Non è mai stata trovata traccia di una scala d’accesso al piano superiore, il che depone a favore della teoria secondo cui la cella avrebbe avuto, fin dalla costruzione del monumento, una destinazione esclusivamente funeraria. Le spoglie di Teodorico, qui probabilmente custodite, furono rimosse e disperse durante il dominio bizantino quando, a seguito dell’editto di Giustiniano del 561 d.C., il mausoleo fu trasformato in oratorio e consacrato al culto ortodosso.
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Theoderiks mausoleum
14 Via delle Industrie
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Lasciato il centro storico e oltrepassata la linea ferroviaria, si erge in un grande parco uno dei monumenti più iconici di tutta Ravenna. È il Mausoleo di Teodorico, la più celebre e importante costruzione funeraria realizzata dagli Ostrogoti in Italia, inserita dall’Unesco nella lista dei siti italiani Patrimonio dell’Umanità. Sintesi di un’architettura Fatto costruire per volontà di Teodorico come propria sepoltura attorno al 520 d.C., il monumento mescola sapientemente ad alcune influenze orientali la tradizione costruttiva romana, soprattutto di alcuni mausolei, dando vita un monumento crocevia tra l’antico popolo romano e quello dei goti “invasori”. Interamente realizzato in blocchi di pietra d’Aurisina messi in posa a secco, l’edificio si sviluppa su pianta centrale, articolandosi in due ordini sovrapposti, entrambi decagonali. A ricoprire tutto una grande cupola monolitica dalle misure sorprendenti, senza eguali nel patrimonio architettonico antico e moderno (10,76 m di diametro e 3,09 m di altezza), coronata da dodici anse con le iscrizioni dei nomi di otto Apostoli e quattro Evangelisti. Secondo calcoli più recenti, il peso raggiungerebbe le 290 tonnellate e, ancora oggi, le ipotesi degli studiosi circa il trasporto del monolite e la tecnica usata per la sua posa sono molteplici. Si presume però che le anse fossero funzionali alle operazioni di trasporto, sollevamento e posizionamento del monolite che comunque non dovette risultare facile come testimonierebbe la grande fenditura presente sulla cupola. Secondo una leggenda popolare, la cupola sarebbe stata invece squarciata dalla folgore divina che, abbattendosi su Teodorico seduto all’interno, lo avrebbe ucciso come punizione per i suoi delitti. Gli spazi interni del mausoleo Il piano inferiore si articola in una serie di nicchie su nove lati, mentre nel decimo si trova la porta d’ingresso. È probabile che la cella inferiore, a pianta a croce greca e copertura voltata a crociera, fosse destinata a luogo di culto o a tomba per i membri della famiglia di Teodorico. L’aula superiore è, invece, a pianta centrale con al centro una vasca in porfido nella quale, secondo la tradizione, venne posta la salma di Teodorico. Non è mai stata trovata traccia di una scala d’accesso al piano superiore, il che depone a favore della teoria secondo cui la cella avrebbe avuto, fin dalla costruzione del monumento, una destinazione esclusivamente funeraria. Le spoglie di Teodorico, qui probabilmente custodite, furono rimosse e disperse durante il dominio bizantino quando, a seguito dell’editto di Giustiniano del 561 d.C., il mausoleo fu trasformato in oratorio e consacrato al culto ortodosso.
A metà strada di Via di Roma, poco lontano dal MAR – Museo d’arte della città di Ravenna, si erge suggestivo il campanile di una delle chiese antiche più antiche della città, Patrimonio Unesco dal 1996. È la Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, da non confondere con quella di Sant’Apollinare in Classe subito fuori dalla città, realizzata tra la fine del V e l’inizio del VI sec. d.C. dal sovrano goto Teoderico (493-526) accanto al suo palazzo, come cappella palatina legata al culto ariano. “Re Teoderico fece innalzare dalle fondamenta questa chiesa in nome di Gesù Cristo, nostro Signore” Così recita l’iscrizione riportata da Andrea Agnello nel suo Liber Pontificalis, il libro dedicato alla storia della chiesa ravennate (IX secolo d.C.), che secondo lo storico doveva posizionarsi originariamente nell’area dell’abside. Due passi nella storia Inizialmente dedicata al Salvatore e dedita al culto ariano, a seguito della conquista bizantina della città, la basilica fu consacrata al culto ortodosso (metà del VI sec.) e intitolata a San Martino, vescovo di Tours, che si era distinto nella lotta agli eretici. Secondo la tradizione, nel IX sec. d.C. le reliquie di Sant’Apollinare furono qui traslate dalla Basilica di Classe e proprio in quell’occasione l’edificio ricevette la sua intitolazione a Sant’Apollinare, detta “Nuovo”. Architettura e mosaici Vista dall’esterno la basilica appare architettonicamente molto semplice. La facciata timpanata, realizzata in mattoni, è inquadrata da due lesene e una bifora, sormontata a sua volta da due piccole finestre. In origine, sembra fosse racchiusa da un quadriportico, ma attualmente è preceduta da un semplice e armonioso portico di marmo databile al XVI sec.. Sul lato destro il bel campanile cilindrico, caratteristico delle costruzioni ravennati, risale al IX o X sec.. All’interno si ritrova uno dei cicli in mosaico d’età paleocristiana e tardoantica più famosi al mondo. Una straordinaria decorazione in mosaici percorre tutta la navata centrale. Un capolavoro di immenso valore che, dal punto vista stilistico, iconografico e ideologico, consente di seguire l’evoluzione del mosaico bizantino dal periodo teodericiano fino a quello bizantino. Le 26 scene cristologiche, risalenti appunto al periodo di Teoderico, rappresentano infatti il più grande ciclo monumentale del Nuovo Testamento e, fra quelli realizzati a mosaico, il più antico giunto fino a noi.
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Basilica di Sant'Apollinare Nuovo
53 Via di Roma
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A metà strada di Via di Roma, poco lontano dal MAR – Museo d’arte della città di Ravenna, si erge suggestivo il campanile di una delle chiese antiche più antiche della città, Patrimonio Unesco dal 1996. È la Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, da non confondere con quella di Sant’Apollinare in Classe subito fuori dalla città, realizzata tra la fine del V e l’inizio del VI sec. d.C. dal sovrano goto Teoderico (493-526) accanto al suo palazzo, come cappella palatina legata al culto ariano. “Re Teoderico fece innalzare dalle fondamenta questa chiesa in nome di Gesù Cristo, nostro Signore” Così recita l’iscrizione riportata da Andrea Agnello nel suo Liber Pontificalis, il libro dedicato alla storia della chiesa ravennate (IX secolo d.C.), che secondo lo storico doveva posizionarsi originariamente nell’area dell’abside. Due passi nella storia Inizialmente dedicata al Salvatore e dedita al culto ariano, a seguito della conquista bizantina della città, la basilica fu consacrata al culto ortodosso (metà del VI sec.) e intitolata a San Martino, vescovo di Tours, che si era distinto nella lotta agli eretici. Secondo la tradizione, nel IX sec. d.C. le reliquie di Sant’Apollinare furono qui traslate dalla Basilica di Classe e proprio in quell’occasione l’edificio ricevette la sua intitolazione a Sant’Apollinare, detta “Nuovo”. Architettura e mosaici Vista dall’esterno la basilica appare architettonicamente molto semplice. La facciata timpanata, realizzata in mattoni, è inquadrata da due lesene e una bifora, sormontata a sua volta da due piccole finestre. In origine, sembra fosse racchiusa da un quadriportico, ma attualmente è preceduta da un semplice e armonioso portico di marmo databile al XVI sec.. Sul lato destro il bel campanile cilindrico, caratteristico delle costruzioni ravennati, risale al IX o X sec.. All’interno si ritrova uno dei cicli in mosaico d’età paleocristiana e tardoantica più famosi al mondo. Una straordinaria decorazione in mosaici percorre tutta la navata centrale. Un capolavoro di immenso valore che, dal punto vista stilistico, iconografico e ideologico, consente di seguire l’evoluzione del mosaico bizantino dal periodo teodericiano fino a quello bizantino. Le 26 scene cristologiche, risalenti appunto al periodo di Teoderico, rappresentano infatti il più grande ciclo monumentale del Nuovo Testamento e, fra quelli realizzati a mosaico, il più antico giunto fino a noi.
Alle porte del piccolo abitato di Classe, a circa 8 km a sud di Ravenna, si erge uno degli otto monumenti che compongono il sito Unesco della città: è la grandiosa e solenne la Basilica di Sant’Apollinare in Classe con il suo caratteristico campanile cilindrico. Nata per accogliere le spoglie di Apollinare, Santo patrono della città, la basilica fu edificata su una precedente area cimiteriale in uso tra la fine del II e l’inizio III sec. d.C. dove sembra avesse trovato sepoltura lo stesso protovescovo. A finanziarla fu Giuliano Argentario su ordine del vescovo Ursicino (533 – 536 d.C.) ma fu consacrata solo qualche anno dopo (549 d.C.), sotto l’arcivescovato di Massimiano. Imponente e maestosa, con una facciata alta 30 metri e lunga quasi il doppio, è stata definita il più grande esempio di basilica paleocristiana oggi conosciuta. Apollinare e i suoi mosaici Nonostante le spoliazioni subite nel corso dei secoli (in origine era preceduta da un quadriportico poi andato distrutto), la chiesa tutt’oggi preserva la bellezza della struttura originaria ed è ammirata per gli splendidi mosaici policromi del suo catino absidale e gli antichi sarcofagi marmorei degli arcivescovi collocati lungo le navate laterali. In particolare possiamo ammirare la rappresentazione di Apollinare, fondatore e primo vescovo della chiesa ravennate, raffigurato a braccia alzate nell’antico gesto della preghiera. In questo quadro simbolico ogni elemento è denso di significati, come i dodici agnelli bianchi immersi in un paesaggio verdeggiante simbolo dei dodici apostoli. I mosaici raffigurano anche una varietà di piante, rocce, uccelli, alcuni dei quali caratteristici della zona, oltre rendere onore ad alcuni importanti nomi della chiesa ravennate. Sopra il paesaggio paradisiaco in cui troviamo Apollinare, emerge dalle nuvole su un fondo dorato la raffigurazione della mano di Dio e subito sotto una croce tempestata di pietre preziose su un cielo punteggiato da novantanove stelle d’oro e d’argento. Al suo interno è il volto di Cristo con le lettere apocalittiche dell’alfabeto greco: l’Alpha e l’Omega, l’Inizio e la Fine di ogni cosa. A fianco, tra le nubi le figure di Mosè ed Elia mentre poco sotto tre pecorelle sono il simbolo degli apostoli che assistono alla Trasfigurazione.
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Basilica di Sant'Apollinare in Classe
224 Via Romea Sud
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Alle porte del piccolo abitato di Classe, a circa 8 km a sud di Ravenna, si erge uno degli otto monumenti che compongono il sito Unesco della città: è la grandiosa e solenne la Basilica di Sant’Apollinare in Classe con il suo caratteristico campanile cilindrico. Nata per accogliere le spoglie di Apollinare, Santo patrono della città, la basilica fu edificata su una precedente area cimiteriale in uso tra la fine del II e l’inizio III sec. d.C. dove sembra avesse trovato sepoltura lo stesso protovescovo. A finanziarla fu Giuliano Argentario su ordine del vescovo Ursicino (533 – 536 d.C.) ma fu consacrata solo qualche anno dopo (549 d.C.), sotto l’arcivescovato di Massimiano. Imponente e maestosa, con una facciata alta 30 metri e lunga quasi il doppio, è stata definita il più grande esempio di basilica paleocristiana oggi conosciuta. Apollinare e i suoi mosaici Nonostante le spoliazioni subite nel corso dei secoli (in origine era preceduta da un quadriportico poi andato distrutto), la chiesa tutt’oggi preserva la bellezza della struttura originaria ed è ammirata per gli splendidi mosaici policromi del suo catino absidale e gli antichi sarcofagi marmorei degli arcivescovi collocati lungo le navate laterali. In particolare possiamo ammirare la rappresentazione di Apollinare, fondatore e primo vescovo della chiesa ravennate, raffigurato a braccia alzate nell’antico gesto della preghiera. In questo quadro simbolico ogni elemento è denso di significati, come i dodici agnelli bianchi immersi in un paesaggio verdeggiante simbolo dei dodici apostoli. I mosaici raffigurano anche una varietà di piante, rocce, uccelli, alcuni dei quali caratteristici della zona, oltre rendere onore ad alcuni importanti nomi della chiesa ravennate. Sopra il paesaggio paradisiaco in cui troviamo Apollinare, emerge dalle nuvole su un fondo dorato la raffigurazione della mano di Dio e subito sotto una croce tempestata di pietre preziose su un cielo punteggiato da novantanove stelle d’oro e d’argento. Al suo interno è il volto di Cristo con le lettere apocalittiche dell’alfabeto greco: l’Alpha e l’Omega, l’Inizio e la Fine di ogni cosa. A fianco, tra le nubi le figure di Mosè ed Elia mentre poco sotto tre pecorelle sono il simbolo degli apostoli che assistono alla Trasfigurazione.
Posto a lato dell’attuale Duomo di Ravenna, il Battistero Neoniano (o degli Ortodossi) è uno dei monumenti più antichi di Ravenna, nonché parte integrante del circuito cittadino degli edifici paleocristiani considerati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. La magia delle sue decorazioni interne, soprattutto quelle a mosaico, è tale che, uno dei padri della Psicanalisi, ne rimase particolarmente colpito tanto da descrivere la sua visita come una meravigliosa “allucinazione”. Fu probabilmente edificato attorno agli inizi del V sec., dietro iniziativa dell’episcopato di Orso, in concomitanza con l’elevazione di Ravenna a capitale dell’Impero romano d’Occidente. Pochi decenni dopo la sua costruzione, al tempo del vescovo Neone (450 – 475 d.C.), fu oggetto di importanti lavori di restauro che contribuirono al rifacimento della cupola ma soprattutto alla realizzazione della decorazione interna che oggi possiamo ammirare. Tra tutti i battisteri realizzati tra il IV e V sec. nel Mondo antico Occidentale ed Orientale (Antiochia, Costantinopoli, Efeso, Treviri, Milano, Aquileia e Roma), questo edificio si caratterizza per essere il meglio conservato dal punto di vista architettonico e decorativo. È giunto fino a noi pressoché intatto, se si esclude un ribassamento di 3 m sotto il livello della strada dovuto al fenomeno della subsidenza che riguarda però vari edifici della città. Il battistero, di forma ottagonale e in muratura, presenta lati alternativamente rettilinei e absidati, traforati in alto da una finestra con arco a tutto sesto e porte interrate. L’interno, articolato in due ordini di arcate sovrapposte, mostra una ricca decorazione tripartita: marmi nella parte inferiore, stucchi nell’area mediana e mosaici in quella superiore di evidente influenza ellenistico-romana. Così come in quella del Mausoleo di Galla Placidia, anche qui la decorazione appare straordinariamente ricca e luminosa, quasi a richiamare il passaggio dall’ombra alla luce, grazie al rito del battesimo. Come di consuetudine, il programma iconografico della cupola è da leggersi in direzione ascensionale, dall’esterno verso il centro, trovando nel clipeo il suo massimo compimento. La fascia più esterna è scandita in otto parti, in cui si alternano motivi naturali quali piante e fiori, troni vuoti che rimandano all’attesa del giorno del Giudizio Universale e altari sui quali è deposto un Vangelo. Nel fascia mediana, su fondo blu, emergono le figure dei 12 apostoli, abbigliati di tunica e pallio, suddivisi in due schieramenti, e capeggiati da San Pietro e San Paolo. Nella mani velate in segno di deferenza recano le corone di alloro, simbolo di trionfo, procedendo ieratici, a passo cadenzato, in una lenta rotazione. Al centro della cupola un grande medaglione racchiude la scena del Cristo, raffigurato immerso sino alla vita nelle acque trasparenti del fiume Giordano in compagnia di San Giovanni Battista: a oggi costituisce la più antica testimonianza di una scena del battesimo del Salvatore eseguita a mosaico in un edificio monumentale. Al centro dell’edificio, una vasca ottagonale di marmo greco e porfido, rifatta nel 1500, conserva ancora qualche frammento originale del V sec..
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Neons dåbskapel
1 Piazza Duomo
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Posto a lato dell’attuale Duomo di Ravenna, il Battistero Neoniano (o degli Ortodossi) è uno dei monumenti più antichi di Ravenna, nonché parte integrante del circuito cittadino degli edifici paleocristiani considerati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. La magia delle sue decorazioni interne, soprattutto quelle a mosaico, è tale che, uno dei padri della Psicanalisi, ne rimase particolarmente colpito tanto da descrivere la sua visita come una meravigliosa “allucinazione”. Fu probabilmente edificato attorno agli inizi del V sec., dietro iniziativa dell’episcopato di Orso, in concomitanza con l’elevazione di Ravenna a capitale dell’Impero romano d’Occidente. Pochi decenni dopo la sua costruzione, al tempo del vescovo Neone (450 – 475 d.C.), fu oggetto di importanti lavori di restauro che contribuirono al rifacimento della cupola ma soprattutto alla realizzazione della decorazione interna che oggi possiamo ammirare. Tra tutti i battisteri realizzati tra il IV e V sec. nel Mondo antico Occidentale ed Orientale (Antiochia, Costantinopoli, Efeso, Treviri, Milano, Aquileia e Roma), questo edificio si caratterizza per essere il meglio conservato dal punto di vista architettonico e decorativo. È giunto fino a noi pressoché intatto, se si esclude un ribassamento di 3 m sotto il livello della strada dovuto al fenomeno della subsidenza che riguarda però vari edifici della città. Il battistero, di forma ottagonale e in muratura, presenta lati alternativamente rettilinei e absidati, traforati in alto da una finestra con arco a tutto sesto e porte interrate. L’interno, articolato in due ordini di arcate sovrapposte, mostra una ricca decorazione tripartita: marmi nella parte inferiore, stucchi nell’area mediana e mosaici in quella superiore di evidente influenza ellenistico-romana. Così come in quella del Mausoleo di Galla Placidia, anche qui la decorazione appare straordinariamente ricca e luminosa, quasi a richiamare il passaggio dall’ombra alla luce, grazie al rito del battesimo. Come di consuetudine, il programma iconografico della cupola è da leggersi in direzione ascensionale, dall’esterno verso il centro, trovando nel clipeo il suo massimo compimento. La fascia più esterna è scandita in otto parti, in cui si alternano motivi naturali quali piante e fiori, troni vuoti che rimandano all’attesa del giorno del Giudizio Universale e altari sui quali è deposto un Vangelo. Nel fascia mediana, su fondo blu, emergono le figure dei 12 apostoli, abbigliati di tunica e pallio, suddivisi in due schieramenti, e capeggiati da San Pietro e San Paolo. Nella mani velate in segno di deferenza recano le corone di alloro, simbolo di trionfo, procedendo ieratici, a passo cadenzato, in una lenta rotazione. Al centro della cupola un grande medaglione racchiude la scena del Cristo, raffigurato immerso sino alla vita nelle acque trasparenti del fiume Giordano in compagnia di San Giovanni Battista: a oggi costituisce la più antica testimonianza di una scena del battesimo del Salvatore eseguita a mosaico in un edificio monumentale. Al centro dell’edificio, una vasca ottagonale di marmo greco e porfido, rifatta nel 1500, conserva ancora qualche frammento originale del V sec..
Poco lontano dalla stazione ferroviaria di Ravenna, su una piccola piazzetta pavimentata in sampietrini si affaccia il Battistero degli Ariani, uno degli otto monumenti che compongono il sito Unesco di Ravenna. Fatto innalzare presumibilmente da re Teodorico alla fine del V sec. d.C., quando l’arianesimo era religione ufficiale della corte, doveva apparire come complemento liturgico alla vicina Cattedrale degli Ariani. A metà del VI sec. il battistero fu riconsacrato per volere di Giustiniano al culto ortodosso, divenendo un oratorio dedicato alla Vergine Maria. In seguito, nel XIII sec. entrò a far parte delle pertinenze dei monaci benedettini che lo consegnarono al clero secolare. Dopo essere stato inglobato nella costruzione dell’Oratorio della Confraternita della Croce (XVII sec.), alla fine dell’Ottocento fu venduto a privati, rischiando di essere trasformato in un magazzino. Nel 1914 fortunatamente divenne Patrimonio dello Stato, con l’avvio di conseguenza dei lavori di restauro sulle sue architetture e sui mosaici della cupola. Incastonato tra gli edifici e le abitazioni del centro storico, è difficile immaginare il battistero nel suo splendore originale. Doveva apparire molto più imponente in altezza di quasi 3 m (oggi il piano è interrato e monitorato dalle idrovore che ne scongiurano nuovi allagamenti) e dotato di un ambulacro esterno (corridoio anulare), di cui oggi rimangono solo piccoli tratti ricostruiti, a ricordare il collegamento con la vicina Cattedrale Ariana, oggi Chiesa di Santo Spirito. Al suo interno nulla è rimasto degli stucchi e degli ornamenti che sicuramente rivestivano le pareti. L’unica parte conservata è la cupola rivestita di mosaici raffiguranti il battesimo del Cristo, un’iconografia già presente nel battistero Neoniano. Pur conservando la medesima impostazione iconografica di quest’ultimo, da cui trae ispirazione, il mosaico del battistero degli Ariani testimonia il culto della corte di Teodorico, fondato sulla figura di Cristo al contempo divina e terrena. Così ammiriamo nel clipeo centrale il Cristo, giovane e nudo, immerso nell’acqua fino ai fianchi mentre nella fascia concentrica il corteo dei dodici apostoli, divisi in due schiere, che incedono verso un grande trono gemmato sormontato dalla croce, dai cui bracci pende un drappo purpureo, espressione della fisicità del Cristo e della sua umana sofferenza. Il mosaico del battesimo è quasi certamente di età teodoriciana, mentre gli apostoli risultano quasi del tutto rifatti a metà del VI sec..
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Battistero degli Ariani
Piazzetta degli Ariani
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Poco lontano dalla stazione ferroviaria di Ravenna, su una piccola piazzetta pavimentata in sampietrini si affaccia il Battistero degli Ariani, uno degli otto monumenti che compongono il sito Unesco di Ravenna. Fatto innalzare presumibilmente da re Teodorico alla fine del V sec. d.C., quando l’arianesimo era religione ufficiale della corte, doveva apparire come complemento liturgico alla vicina Cattedrale degli Ariani. A metà del VI sec. il battistero fu riconsacrato per volere di Giustiniano al culto ortodosso, divenendo un oratorio dedicato alla Vergine Maria. In seguito, nel XIII sec. entrò a far parte delle pertinenze dei monaci benedettini che lo consegnarono al clero secolare. Dopo essere stato inglobato nella costruzione dell’Oratorio della Confraternita della Croce (XVII sec.), alla fine dell’Ottocento fu venduto a privati, rischiando di essere trasformato in un magazzino. Nel 1914 fortunatamente divenne Patrimonio dello Stato, con l’avvio di conseguenza dei lavori di restauro sulle sue architetture e sui mosaici della cupola. Incastonato tra gli edifici e le abitazioni del centro storico, è difficile immaginare il battistero nel suo splendore originale. Doveva apparire molto più imponente in altezza di quasi 3 m (oggi il piano è interrato e monitorato dalle idrovore che ne scongiurano nuovi allagamenti) e dotato di un ambulacro esterno (corridoio anulare), di cui oggi rimangono solo piccoli tratti ricostruiti, a ricordare il collegamento con la vicina Cattedrale Ariana, oggi Chiesa di Santo Spirito. Al suo interno nulla è rimasto degli stucchi e degli ornamenti che sicuramente rivestivano le pareti. L’unica parte conservata è la cupola rivestita di mosaici raffiguranti il battesimo del Cristo, un’iconografia già presente nel battistero Neoniano. Pur conservando la medesima impostazione iconografica di quest’ultimo, da cui trae ispirazione, il mosaico del battistero degli Ariani testimonia il culto della corte di Teodorico, fondato sulla figura di Cristo al contempo divina e terrena. Così ammiriamo nel clipeo centrale il Cristo, giovane e nudo, immerso nell’acqua fino ai fianchi mentre nella fascia concentrica il corteo dei dodici apostoli, divisi in due schiere, che incedono verso un grande trono gemmato sormontato dalla croce, dai cui bracci pende un drappo purpureo, espressione della fisicità del Cristo e della sua umana sofferenza. Il mosaico del battesimo è quasi certamente di età teodoriciana, mentre gli apostoli risultano quasi del tutto rifatti a metà del VI sec..